INTRODUZIONE AL CONVEGNO
ALDO MORO TRA UNIVERSITA’ E POLITICA:1963-1978
di
Fulco Lanchester
Sommario:1-Premessa.2-La memoria tra rimozione e insicurezza. 3-La doppia cesura e la sindrome dell’abbandono.4-Le ragioni di un’analisi.
1-Già altre volte ci sono state occasioni per ricordare,nel corso degli ultimi trenta anni, la figura di Aldo Moro nella sua Facoltà. Lo abbiamo fatto ad esempio quando gli è stata dedicata l’aula XI, dove ha insegnato dal 1963 al 1978 Istituzioni di diritto e procedura penale ; o quando circa sei anni fa - proprio in quest’aula intitolata a Vittorio Bachelet- ci siamo riuniti per ascoltare Giovanni Conso, Leopoldo Elia, Giuliano Vassalli e Pietro Scoppola (che ricordo di nuovo con affetto e commozione ) alla presenza - per la prima volta dopo il 1978 - della vedova Signora Eleonora Chiavarelli.
Il taglio dei lavori di questo Convegno, dedicato a Aldo Moro tra Università e politica:1963-1978, vuole evitare i rischi di una rinnovata e formale commemorazione , con l’aggravante dell’amarcord personale o generazionale. Il suo fine è, invece, quello di analizzare il periodo in cui Aldo Moro è stato docente di questa Facoltà, cercando di evidenziare le relative problematiche su più piani ( da quello sistemico, a quello infrapartitico democristiano, per arrivare alla dinamica della società civile ed ai temi più squisitamente settoriali che investono il sistema universitario,”La Sapienza” e la Facoltà di Scienze politiche in particolare ) .
2-Ritengo si tratti di una scelta oculata dal punto di vista scientifico ,ma -soprattutto - necessaria per una comunità come la nostra, che - per molto tempo - nonostante le ricorrenti cerimonie- ha scelto sostanzialmente di rimuovere il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, così come –in altro modo - ha fatto per le successive morti di Vittorio Bachelet e di Massimo D’Antona .
La rimozione è come noto una categoria psicanalitica freudiana che Carl Gustav Jung ha allargato anche nel collettivo. Essa si concentra nell’obnubilamento dell’episodio o dell’evento doloroso come strumento di difesa e di sopravvivenza per i superstiti . La rimozione ha, però, un costo che viene pagato in termini personali e collettivi attraverso una serie di disturbi più o meno importanti . Da una simile situazione si esce (sempre che si abbia la forza di farlo) o andando in analisi o cercando di spiegarsi gli avvenimenti in cui si è stati coinvolti .
Per “La Sapienza” di Roma ed in particolare per questa Facoltà c’è stato indubbiamente un rapporto difficile con la figura di Aldo Moro dopo la sua morte . Se si esclude Franco Tritto , che ricordo in modo affettuoso per la sua costante testimonianza di fedeltà al Maestro di venuta scopo della vita, tanto che la pubblicazione delle Lezioni di Istitutioni di diritto e procedura penale da lui curate è coincisa significativamente con il termine della sua vicenda terrena , la sua scuola si disperse velocemente negli anni successivi al 1978 . Anche per la Facoltà e per il Dipartimento di Teoria dello Stato (erede dell’Istituto di studi giuridici,di cui Moro faceva parte) , il nucleo della questione si è apparentemente concentrato nel periodo del sequestro ed in ciò che venne fatto o non venne fatto in quella circostanza. La spaccatura tra trattativisti e non ci fu anche qui, anche se non emerse ufficialmente, forse complicata da problemi meramente accademici .
Una simile prospettiva - a mio avviso – risulta essere però insufficiente a comprendere ciò che veramente successe in quest’area, schiacciando l’esperienza della Facoltà e dell’Università “La Sapienza” su quella generale . C’è qualcosa,infatti, di più e di diverso .Le settimane tra il 16 marzo il 9 maggio 1978 sono state un vero e proprio buco nero, che si è inserito nel contesto del timore esistente in una zona per molti anni priva di sicurezza . Nelle prime pagine del suo recente volume 1977 . L’ultima foto di famiglia Lucia Annunziata ha scritto in maniera efficace che il quadrilatero compreso tra via Castro pretorio ,San Lorenzo,via Regina Margherita ,Policlinico è stato una zona franca al di fuori di ogni controllo per anni . Pochi hanno messo in evidenza, però, come all’interno di una simile area abbia continuato a vivere ed operare la maggiore comunità universitaria italiana, mentre chi doveva fornire sicurezza ha preferito disinvestire progressivamente sulla stessa.
Chi voglia comprendere , in maniera anche superficiale, ciò che è capitato nel periodo “caldo” della contestazione studentesca e del terrorismo e la reazione di chi ancora oggi opera all’interno di questo perimetro deve ,quindi , tenere conto anche del dato psicologico dell’insicurezza che ci ha attanagliato per decenni,al di là della personale compassione. Nello specifico, quando chiedevo ai nostri maggiori la ragione del silenzio e dell’imbarazzo della Facoltà di fronte al caso Moro, mi veniva risposto con difficoltà, ma poi – in sostanza- si affermava che il problema era stato ed era più grande del gestibile da una singola istituzione universitaria .
A questo proposito il verbale del Consiglio di Facoltà di Scienze politiche del mese di Aprile 1978 è significativo: una dichiarazione di solidarietà scarna e virgolettata dell’allora Preside Riccardo Monaco con i caduti di via Fani e l’auspicio di un celere ritorno di Aldo Moro alla famiglia e agli studi e poi null’altro , se non una doppia assenza considerata giustificata con i nomi di Moro e di Bachelet.
Dopo la tragedia è stato dedicato ad Aldo Moro il vecchio piazzale delle Scienze, facendo divenire - con la forza cogente della toponomastica - inscindibile il rapporto, ma è evidente che, per quanto riguarda la Facoltà, molto è rimasto nascosto sia per quanto riguarda il periodo precedente il sequestro, sia per quanto attiene al periodo marzo-maggio 1978, sia infine dopo il ritrovamento delle sue spoglie in via Caetani.
La presenza di Moro si sente dunque, ma si percepisce anche un confuso desiderio di non rivangare un passato che è ancora presente, ma è anche problematico e doloroso. Lo stesso atteggiamento si può rilevare (in maniera ovviamente differente) per gli assassini di Vittorio Bachelet e di Massimo D’Antona.
3-I temi della rimozione e dell’insicurezza si collegano- a mio avviso- a quello dell’abbandono, che richiama l’argomento del mutevole rapporto tra ceto politico ,classe dirigente e “La Sapienza” nell’ambito del sistema universitario nazionale ,regionale e urbano.
Benedetto XVI nella lezione inviata a “La Sapienza” ha osservato in maniera implicita che esiste una cesura nella storia di questa Università (il 1870);aggiungerei che se ne è riprodotta un’altra un secolo dopo .La prima si è concentrata nel passaggio del controllo dell’ateneo dalla autorità religiosa a quella dello Stato unitario ; la seconda nella rottura del rapporto organico tra Università “La Sapienza”, ceto politico e classe dirigente .
Il ceto politico liberale e quello dello stesso periodo fascista molto investirono, seppur con fini ed in maniera differente , sull’Università della “terza Italia”; dalla fine degli anni Sessanta ad oggi vi è stato, invece, un chiaro processo di disinvestimento . Eppure,proprio negli anni Cinquanta e Sessanta il rapporto tra “La Sapienza” e il mondo politico-istituzionale era divenuto sempre più intenso .
Se si analizza la composizione delle Facoltà, solo nella parte finale del periodo liberale gli esponenti universitari con cariche politiche di rilievo fecero parte dei ruoli universitari romani (penso,ad es., a Salandra, a Luzzatti e ad Orlando per i presidenti del Consiglio , ma non posso tacere sui ministri della Pubblica Istruzione Bonghi e Boccelli, che tanto influirà sul destino del Policlinico), mentre intenso era il legame tra docenti e vertici delle strutture amministrative e culturali .
Durante il Fascismo nella nostra Facoltà,fondata –prima fra le statali- nel 1925 sulla base della confluenza tra il progetto liberale e quello militante del nascente Regime, furono presenti personaggi notevoli del Regime (penso a Luigi Rossi,già ministro della Giustizia nel Governo Facta; a Alfredo Rocco,anche lui ,dopo la Presidenza della Camera per circa sette anni Ministro della Giustizia; a Giuseppe Bottai,ministro dell’Educazione Nazionale; a Sergio Panunzio,componente del Gran Consiglio del Fascismo; a Alessandro Lessona ,ministro delle Colonie; e a Vincenzo Zangara,vice-segretario nazionale del PNF ) . Nel decennio 1953-1963,se si segue la relazione del Rettore del periodo Giuseppe Ugo Papi, vi fu un forte incremento dei posti dei professori di ruolo (circa il 35% in media) con picchi del 144% , dell’88% e del 41% per Scienze statistiche, per Scienze politiche ed Economia e commercio rispettivamente e di solo 4% per Giurisprudenza. Alle soglie degli anni Sessanta le Facoltà giuridico, economico politiche si riempirono, però, di esponenti politici. Nomino solo quelli di primo piano : Antonio Segni e Giovanni Leone a Giurisprudenza ; Amintore Fanfani e Giacinto Bosco ad Economia e Commercio; Aldo Moro e Giuseppe Medici a Scienze politiche, escludendo ad esempio esponenti della Facoltà di Medicina come Gaetano Martino ,che diverrà Rettore di quest’università nel 1966-67. Allo stesso modo nelle Facoltà era altissima la presenza-in continuità con il passato- di docenti che agivano in strutture giurisdizionali o amministrative di tipo strategico.
A Scienze politiche i legami con il Ministero degli Affari esteri (in cui per anni operarono proprio Moro e Medici ) erano intensissimi,come certificavano le figure di Ago,di Monaco e di Toscano;così come erano strette le relazioni con l’Istat ,in cui agivano amoroso e D’Addario ;o con la Banca d’Italia ed il suo ufficio studi con Di Nardi.
La contestazione, che dal 1968 investì le Università italiane in via di completa massificazione, fece de “La Sapienza” il luogo dove il potere politico-sindacale veniva attaccato assieme al cosiddetto “potere baronale” . Il rapimento Moro e poi l’assassinio Bachelet costituirono un elemento quasi esemplare dell’attacco al potere del partito Stato, mentre l’espulsione di Lama non significò solo la rottura all’interno della sinistra , ma anche un segnale sull’impossibilità di proseguire una collaborazione tra i partiti verso l’integrazione completa del maggior partito d’opposizione .
Per la specifica situazione universitaria non ci furono provvedimenti strutturali, ma meri interventi sul personale. Il DPR 382 del 1980 si limitò ad integrare stabilmente nei ruoli, senza risolvere i problemi del settore, il cosiddetto personale precario e provvide , in maniera sintomatica, a troncare progressivamente i rapporti tra Università e politica, anche attraverso l’incompatibilità tra insegnamento e mandato parlamentare.
Una simile soluzione,che a detta di molti non sarebbe mai stata accettata da Aldo Moro che individuava la stretta connessione tra insegnamento e attività parlamentare, in ambito romano significò il convogliamento di gran parte del ceto politico-accademico nel reticolo di atenei privati sostanzialmente finanziate con personale statale.
Già negli anni Settanta la non controllabilità de “La Sapienza” aveva, d’altro canto, contribuito alla decisione di un gruppo di imprenditori, guidato da Umberto Agnelli di rilevare la Libera università internazionale degli studi sociali pro Deo, a suo tempo fondata da Felix A. Morlion , e di istituire la Luiss ,con lo scopo di formare classe dirigente non più producibile (a detta ovviamente dei promotori) nelle statali.
Negli anni Ottanta e Novanta,nonostante l’attività riformatrice di Antonio Ruberti e la battaglia per l’autonomia universitaria di Giorgio Tecce, la gemmazione di due altre università statali e la costituzione di una miriade di istituzioni private ha completato il disinvestimento, mentre molti hanno avuto la sensazione,dopo il 1994, che “La Sapienza” venisse abbandonata e nello stesso tempo la stessa si cullasse nel passato o nel piccolo cabotaggio .
4- In questo quarantennio rimozione della memoria collettiva e persistente senso di insicurezza si sono, dunque, connessi al processo di intensa ristrutturazione dell’istruzione superiore, con una messa in discussione del ruolo del pubblico e di equilibri consolidati . E’ anche da questo contesto - che ci ha visto protagonisti-nostro malgrado - della recente storia d’Italia con un record , di cui volentieri avremmo fatto a meno, dei caduti per mano terroristica - che è nata l’esigenza di questa analisi su Aldo Moro tra università e politica nel periodo 1963-1978.
Si è, quindi, deciso di riflettere su Aldo Moro nella Università dove ha agito negli ultimi 15 anni della sua vita,all’interno della capitale dove è stato dal 1946 deputato, ministro, Presidente del Consiglio, presidente della Democrazia cristiana. Al centro di questo pomeriggio si pongono però ,attraverso la sua figura di uomo politico e di docente, la transizione infinita ed, in particolare, le origini e la fase iniziale della stessa, che coincidono proprio con la presenza di Aldo Moro a “La Sapienza”.
Dico di più . L’assassinio di Aldo Moro costituisce – a mio avviso- il tragico evento finale della prima fase della transizione italiana (1968-1978) e gli effetti di quell’avvenimento sono stati e sono ancor oggi notevoli sia per il sistema politico-partitico, sia per il sistema sociale (ivi compresa l’Università e la nostra comunità) .
Francesco Malgeri, Emilio Gentile e Simona Colarizi prenderanno in esame tre aspetti differenti , ma sostanzialmente convergenti di una simile problematica : da un lato quella del partito che allora alcuni identificavano addirittura con lo Stato (la DC), dall’altro la dinamica più generale del sistema politico italiano; infine i sommovimenti della società civile con particolare riguardo al settore universitario e dei movimenti giovanili.
L’ipotesi base , che - spero- verrà discussa anche nella tavola rotonda coordinata da Lucia Annunziata , è che il nodo della mancata modernizzazione del Paese, che ha portato alla fine del più pesante Stato dei partiti esistente in Europa e che - fino alle recenti elezioni politiche del 2008- non aveva condotto ad un riallineamento del sistema politico – istituzionale, si situi proprio nel quindicennio 1963-1978.
L’ idea – ovviamente non originale- è che con il fallimento della scommessa strategica di centro - sinistra si sia entrati in una fase di transizione confusa,tesa verso l’integrazione del maggior partito della sinistra, ma che non si sia riusciti a pervenirvi a causa di resistenze interne ed esterne . Un simile fallimento, che si è riverberato pesantemente sulla stessa dinamica istituzionale dell’ordinamento, è stato originato dall’incapacità della classe dirigente e del ceto politico italiano di rispondere- come invece hanno fatto in altri Paesi- alle sfide dell’innovazione politica e sociale.
L’analisi comparativa delle soluzioni fornite in Francia ed in Spagna di fronte ai problemi della modernizzazione nello stesso periodo è significativa per individuare i problemi vecchi e nuovi di un ordinamento frammentato e caratterizzato da veto players capaci di bloccare decisioni efficienti .
Il periodo 1963-1978 comprende - come si diceva- le origini ed il primo svolgimento di una vicenda che avuto ulteriori tappe nella crisi di regime del 1993 e che nel 2008 sembra aver trovato, in un riallineamento ancora parziale, il profilarsi di un blocco sociale e politico più stabile, ma che nello stesso momento pone problemi per quanto riguarda la persistenza del modello costituzionale, di cui stiamo celebrando il sessantesimo anniversario e di cui furono autori - fra gli altri – alcuni eminenti giuristi della Facoltà ( lo stesso Aldo Moro, Costantino Mortati, Egidio Tosato).
Dalla serie di relazioni di questo pomeriggio e dalla Tavola rotonda, cui parteciperanno Giuliano Amato, Francesco D’Onofrio, Piero Alberto Capotosti, Giuliano Vassalli e Luciano Violante, sono sicuro che i differenti piani analitici coinvolti dal Convegno verranno discussi e sezionati opportunamente. Ma spero - soprattutto- che verrà confermata la vitalità di una Università pubblica che - con pochi mezzi, in un contesto difficile e con scarsa atten da parte delle istituzioni - riesce ad essere ancora una risorsa importante per lo sviluppo culturale e democratico del Paese .
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